Quali animali hanno combattuto in guerra?

L’uomo ha sempre sfruttato gli animali: oltre a cavalli e muli, anche cani, piccioni e orsi hanno dato il loro contributo sui campi di battaglia, dall’antichità a oggi.

Cani con la medaglia

Nell’ottobre del 2018, una femmina di pastore belga ha rischiato la vita, braccando il leader dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi: sguinzagliata da uno dei Rambo della Delta Force americana durante il raid statunitense nella provincia di Idlib (Siria) ha inseguito il super ricercato nel suo nascondiglio, fino al tunnel senza uscita in cui l’uomo si è fatto esplodere. Zero Bark Thirty è un addestratissimo cane-soldato dell’unità speciale K9. Uno degli innumerevoli fedelissimi amici dell’uomo trascinati in guerra dai loro umani già secoli fa.

AmbienteGiornata mondiale del cane: “Vi racconto la mia lunga e fantastica avventura accanto all’uomo”.

Cani soldato

I grossi molossi assiri e babilonesi, quelli in forza nell’esercito persiano di Ciro il Grande (VI secolo a.C.) e in quello macedone di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), i mastini dei Celti che accolsero i legionari di Giulio Cesare in Britannia (55 a.C.) e il “canis pugnax” romano venivano tutti addestrati per combattere come feroci guerrieri. Solo l’invenzione della polvere da sparo li relegò nelle retrovie, come ausiliari, portaordini e soccorritori, ma anche così molti si guadagnarono la fama di eroi. Stubby, per esempio: un pitbull terrier con la coda mozzata, ex randagio di Boston, nel corso della Grande guerra si guadagnò sul campo il grado di sergente e diverse medaglie. Tra le sue imprese: aver catturato una spia tedesca e aver salvato i commilitoni del 102° reggimento di fanteria americano da una serie di attacchi con il gas mostarda, di cui riconosceva l’odore in larghissimo anticipo.

Equini in trincea

Alessandro Magno era legatissimo al suo Bucefalo; Marengo prese il proprio nome dalla battaglia attraverso la quale condusse incolume il suo cavaliere, Napoleone Bonaparte; il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia non volle staccarsi neppure durante l’esilio dal suo Favorito, con cui aveva combattuto durante i moti del 1848.

cavalli, e i loro cugini muli, sono stati da sempre gli animali da guerra per eccellenza: i primi andarono in battaglia già 4mila anni fa, per tirare i carri delle antiche popolazioni mediorientali. Protagonista di cariche travolgenti e prode compagno di valorosi condottieri, con l’impiego delle moderne e più letali armi da fuoco il cavallo finì per andare a far compagnia a muli e asini come bestia da soma e da tiro. Si stima che quasi dieci milioni di questi animali fossero arruolati su vari fronti durante il primo conflitto mondiale, ma in quel caso ben più utile di loro si rivelò il mulo: instancabile compagno di cordata degli alpini sul fronte italiano, poteva trasportare fino a 150 kg di carico.

Per questo, fin dalla metà del Settecento, ha fatto parte dei reparti speciali in dotazione a tutti gi eserciti.

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Il volo del piccione

Oggi vorremmo solo sparissero dalle piazze e dai balconi, ma c’è stato un tempo, tra l’inizio della Prima e la fine della Seconda guerra mondiale, in cui i piccioni erano considerati eroi. Come il giovane Paddy, che sfuggendo agli artigli dei falchi di Hitler, il 6 giugno 1944 comunicò agli Alleati preziose informazioni sullo sbarco in Normandia, percorrendo quasi 370 chilometri tra la costa francese e la base militare inglese di Hampshire nel tempo record di quattro ore e cinquanta minuti.

La coraggiosa Cher Ami fu invece il postino piumato più famoso della Grande guerra. Entrò nella leggenda grazie alla sua tredicesima missione, quando, durante la battaglia delle Argonne (1918), in barba a una tempesta di proiettili tedeschi, con una scheggia di piombo nel petto, un occhio accecato e una zampa quasi staccata, volò per 40 chilometri per consegnare il messaggio disperato di un battaglione statunitense. Salvò così la vita a 194 uomini, intrappolati dietro le linee nemiche e bersagliati dal fuoco degli alleati, che ne ignoravano la posizione. Con una protesi di legno al posto della zampa e sul petto la Croix de Guerre francese, Cher Ami sopravvisse un altro anno, prima di finire imbalsamata al National Museum of American History.

La carica degli elefanti

C’è quello che Carlo Magno ostentò contro i Vichinghi danesi di re Göttrik (804) e quello che l’imperatore del Sacro romano impero Federico II sfoggiò quando prese Cremona (1204). Ma i più famosi furono gli elefanti con cui Pirro, re dell’Epiro, combatté e vinse i Romani, terrorizzati da quei “buoi lucani”, nella battaglia di Eraclea (280 a.C.), nell’odierna Basilicata. Sessantadue anni dopo, all’inizio della Seconda guerra punica, quando il condottiero cartaginese Annibale valicò le Alpi con l’esercito e 37 pachidermi, fu il freddo a dare una mano ai legionari: durante la traversata uccise infatti tutti gli animali tranne uno, Surus, che morì di malaria poco dopo.

I Latini non furono comunque i primi “europei” a vedere gli elefanti in azione: quel primato era toccato ai soldati di Alessandro Magno, nella battaglia di Gaugamela (331 a.C.). I 15 pachidermi indiani dell’esercito persiano di Dario III impressionarono moltissimo le truppe macedoni: ma Alessandro, oltre a compiere un sacrificio al dio della paura, Phobos, fece schierare la cavalleria lontana da quei bestioni.

E vinse.

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Scorpioni e api

Per la loro pungente caratteristica, entrambi questi stizzosi animaletti vennero impiegati in battaglia fin dall’antichità. Risale al 198 d.C. una delle prime testimonianze sull’impiego degli scorpioni sul campo. A farne le spese furono i Romani di Settimio Severo: durante l’assedio di Hatra, un’importante città fortificata allora appartenente all’Impero dei Parti, furono infatti respinti da centinaia di questi velenosi artropodi rovesciati sulle loro teste dall’alto. E dire che i Romani non erano nuovi a trucchi del genere: solo che loro preferivano affidarsi alle api. Proprio come i Greci, che le impiegavano in battaglia perché erano in grado di colpire gli avversari anche se indossavano la corazza.

Ancora secoli dopo, durante la Prima guerra mondiale (1914-1918) e la guerra in Vietnam (1955-1975), alveari pronti ad aprirsi al passaggio dei nemici, piazzati rispettivamente dai tedeschi e dai vietcong a mo’ di trappola, rallentarono dolorosamente l’avanzata dei soldati.

Ratti antimina

Incubo dei soldati in trincea, i ratti non sono sempre nemici da combattere. Soprattutto quando si tratta dei ratti giganti del Gambia, i topi più grandi del mondo. Questa particolare specie, con la sua corporatura leggera e l’olfatto eccezionale, si è rivelata un’incredibile soluzione per bonificare le zone di guerra dalle mine antiuomo. In Cambogia e in diversi Paesi africani, ormai da un ventennio i grossi roditori salvano almeno 5mila vite all’anno: dopo 9 mesi di addestramento, legati a un filo e muovendosi lungo percorsi definiti, sono infatti capaci di riconoscere l’odore del metallo e della polvere da sparo di cui sono composti gli ordigni bellici e di segnalarne la presenza agli operatori. In cambio di un po’ di cibo e senza rischiare la vita, dato che sono troppo leggeri per far esplodere le bombe, in questo modo possono ripulire 200 metri quadrati di territorio in soli venti minuti: a un uomo con un metal detector, invece, occorrerebbero fino a quattro giorni.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

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