
Tradurre i linguaggi degli animali non è più un’utopia fantascientifica; è una sfida scientifica che, tra algoritmi e vocalizzazioni, sta diventando sempre più concreta. Alcuni progetti internazionali stanno facendo passi da gigante in questo campo, spinti da curiosità intellettuale, tecnologia avanzata e, sì, anche da ingenti premi in denaro. Ma oltre alla competizione e all’entusiasmo, questa corsa solleva domande profonde su cosa significhi comunicare davvero con un’altra specie.
Tutto parte da un’ipotesi antica. Charles Darwin suggeriva che gli esseri umani abbiano imparato a parlare imitando il canto degli uccelli. Se questo fosse vero, allora forse le prime forme di linguaggio umano sono nate da uno scambio tra specie diverse. Oggi, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, potremmo essere sul punto di riprendere quel dialogo interrotto da millenni.
Molti dei progetti più avanzati si concentrano sui cetacei, in particolare sui capodogli. Questi animali comunicano attraverso rapide sequenze di clic che durano frazioni di secondo. Il progetto Ceti – acronimo di Cetacean Translation Initiative – sta utilizzando modelli linguistici per analizzare queste emissioni sonore e cercare di decifrare il loro significato. Finora, gli scienziati hanno scoperto che i capodogli potrebbero utilizzare clic distinti per riferirsi a individui specifici, alternare i turni di parola e persino usare “segni di punteggiatura” sonori.
Nel frattempo, anche i delfini sono al centro dell’attenzione. Google ha recentemente presentato DolphinGemma, un modello AI addestrato su 40 anni di registrazioni. In un caso particolarmente interessante, i ricercatori hanno identificato un suono che i delfini avevano appreso dagli esseri umani e che utilizzavano per indicare un tipo specifico di alga. È forse la prima vera parola “presa in prestito” tra specie diverse.
Oltre agli esperimenti in laboratorio, ci sono state interazioni affascinanti in natura. Un gruppo di ricercatori in Alaska ha documentato un vero e proprio scambio sonoro con una megattera, in cui l’animale ha risposto per oltre venti minuti a una serie di suoni riprodotti da uno strumento subacqueo. Altrove, un delfino di nome Zeus ha imparato a imitare le vocali A, E, O e U. Tutto questo non fa che alimentare la sensazione che non siamo poi così lontani dal poter condividere un linguaggio, almeno in parte, con un’altra specie.
Ma mentre ci entusiasmiamo all’idea di tradurre i linguaggi degli animali, dovremmo anche chiederci che cosa ci stanno già dicendo, inascoltati. La natura ha sempre parlato, il problema è che spesso scegliamo di non ascoltarla. I paesaggi sonori degli oceani, un tempo pieni di vita e rumori naturali, stanno diventando silenziosi. Le barriere coralline, se sane, scoppiettano di suoni; se danneggiate, sono mute. E le canzoni delle balene, che si diffondono per centinaia di chilometri sott’acqua, vengono oggi coperte dal rumore dei motori delle navi o delle trivellazioni sottomarine.
Le megattere, in particolare, producono veri e propri concerti che possono durare anche un giorno intero. I loro “brani” si evolvono nel tempo, passando da un individuo all’altro, quasi come se fosse una cultura sonora condivisa. Alcuni studiosi hanno persino descritto questo fenomeno come “rivoluzioni musicali”, in cui un nuovo canto prende il posto di quello vecchio. Tuttavia, oggi queste melodie rischiano di essere soffocate.
Eppure il linguaggio, per gli animali, non è fatto solo di suoni. Molte specie comunicano anche attraverso gesti, odori, vibrazioni e segnali termici. Per capirli davvero, dovremmo immergerci nel loro mondo percettivo, un’idea che il biologo Jakob von Uexküll chiamava umwelt: il mondo così come lo percepisce ciascun essere vivente. In altre parole, parlare con una balena non significa solo decifrare i suoi suoni, ma anche entrare nella sua visione del mondo.
C’è chi paragona questa impresa a un primo contatto con una civiltà aliena. Non è un caso che “Ceti” ricordi il progetto “Seti” della NASA, nato per cercare forme di vita intelligente nello spazio. Come nel film Arrival, in cui una linguista impara la lingua di misteriosi esseri extraterrestri e, con essa, cambia la propria percezione del tempo, imparare a comunicare con un’altra specie potrebbe trasformare anche il nostro modo di pensare.
Tradurre i linguaggi degli animali, quindi, non è solo una questione tecnica o scientifica; è una sfida culturale, emotiva e persino filosofica. Se un giorno riuscissimo davvero a parlare con un delfino o con una balena, cosa diremmo? E, soprattutto, come cambierebbe la nostra idea di umanità nel momento in cui un’altra intelligenza ci risponde?
Forse il vero traguardo non sarà tanto capire ciò che gli animali dicono, ma imparare a dare valore a ciò che già stanno cercando di comunicarci.
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