La presenza di un CRAS è cruciale per la gestione e il soccorso della fauna selvatica ferita o in difficoltà.
Nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola, un’importante lacuna nell’assistenza alla fauna selvatica ha spinto le autorità provinciali a cercare candidati per la creazione di un Centro di Recupero Animali Selvatici (CRAS). Questa iniziativa è stata annunciata attraverso il sito web istituzionale della Provincia e mira a coinvolgere associazioni interessate nell’istituzione e gestione di una struttura dedicata al recupero, cura e riabilitazione della fauna selvatica locale.
L’obiettivo principale del CRAS sarà il recupero e la riabilitazione degli animali selvatici feriti, malati o bisognosi di cure. Una volta completato il processo di recupero, l’obiettivo sarà la loro reintroduzione nella natura. Tuttavia, nel caso in cui le condizioni degli animali non consentano il loro ritorno all’ambiente naturale, il centro dovrà essere attrezzato per fornire loro un ambiente adeguato per una permanenza a lungo termine.
La Provincia di Verbano-Cusio-Ossola ha una lunga tradizione di attenzione per l’ambiente e la fauna selvatica che popola il suo territorio. L’istituzione di un CRAS è vista come un passo cruciale per continuare a proteggere e preservare la ricca biodiversità della regione. La pubblicazione dell’annuncio sul sito istituzionale è parte di un processo di indagine di mercato per valutare l’interesse delle associazioni nel fornire questo importante servizio.
I requisiti per i potenziali candidati includono competenze professionali e un’adeguata organizzazione, insieme alla capacità di dotare il futuro CRAS di personale e risorse necessarie per il suo funzionamento. Le candidature possono essere inviate in forma cartacea o tramite email entro il 15 settembre, come specificato sul sito della Provincia di Verbano-Cusio-Ossola.
La presenza di un CRAS è cruciale per la gestione e il soccorso della fauna selvatica ferita o in difficoltà. Questi centri forniscono cure mediche, riabilitazione e un ambiente sicuro per gli animali in difficoltà, come volpi, lupi e rapaci. Senza un CRAS nella zona, sarebbe difficile intervenire rapidamente e adeguatamente per salvare la vita degli animali selvatici bisognosi di aiuto. La Provincia è fiduciosa che questa “call” genererà candidature idonee per creare una risorsa fondamentale per la conservazione della fauna selvatica locale.
Il mondo è ricco di animali con caratteristiche interessanti, molti di questi sono stati scoperti recentemente: vediamo gli ultimi arrivati nel regno animale
Andare alla scoperta dell’ignoto o meglio di ciò che ancora non conosciamo è la spinta che ha portato gli uomini a studiare e il nostro pianeta è una fonte inesauribile di meraviglie soprattutto quando di parla di specie animali. Ci sono molte zone del globo che rimangono ancora inesplorate, ma grazie alla tecnologia sempre più avanzata molte sono venute alla luce.
Se pensiamo che fino ad ora conosciamo solo una piccola parte della fauna (circa il 10%) il percorso è ancora lungo, ma ogni anno ci sono sempre nuove scoperte. Tra piccoli insetti e mammiferi vediamo “gli ultimi arrivati” nel regno animale.
Squalo dai grandi occhi
Partendo dai fondali marini, quelli più difficili da esplorare, nel 2018 nel Golfo del Messico è stata scoperta una nuova specie di squalo. A differenza di quelli che conosciamo, ha un aspetto meno spaventoso, merito di due grandi occhi e di una lunghezza che non supera i 71 cm. Proprio le sue dimensioni lo rendono decisamente più innocuo rispetto agli altri esemplari della sua specie.
Topo dal naso di maiale
Il nome di questo roditore, scoperto per la prima volta pochi anni fa in Indonesia, non è casuale. Lo Hyorhinomys Stuempkei ha caratteristiche uniche: oltre alle orecchie di grandi dimensioni che occupano ben il 20% della testa, i denti sono aguzzi e il naso ricorda appunto quello di un maiale. È un esemplare carnivoro e si ciba quasi esclusivamente di larve e lombrichi. Può arrivare a misurare 45 centimetri per quel che riguarda la lunghezza, mentre il peso non supera i 250 grammi.
Gambero colorato
Il Cherax Pulcher, nome scientifico del gambero nativo dell’Indonesia, è una vecchia conoscenza degli scienziati che si sono imbattuti in lui all’inizio degli anni duemila. È solo nel 2015, però, che hanno iniziato a studiarlo meglio perché quello che ha attirato subito l’attenzione dei ricercatori è il suo aspetto colorato. Il suo esoscheletro va dal blu al rosa, fino al viola. L’animale longevo, alcuni possono arrivare fino a 40 anni, si nutre di foglie marce o carcasse di animali e insetti.
Ortrozanclo
Il mare è popolato da creature incredibili e se fossimo vissuti sulla Terra tantissimi anni fa, avremmo potuto ammirare l’Ortrozanclo, un animale che impressionava al primo sguardo per la sua corazza. Il nome scientifico completo è Orthrozanclus Elongata, un esemplare di appena 25 millimetri ormai estinto e che ha vissuto nel nostro pianeta oltre 500 milioni di anni fa. Gli spuntoni erano altrettanto impressionanti e finora ne sono stati scoperti soltanto due fossili, ma gli scienziati non hanno ancora compreso come si muovesse in fondo al mare.
Rana mutaforma
Rimanendo nell’ambito acquatico, ma spostandoci in Ecuador, una delle ultime scoperte è la rana mutaforma (Pristimantis Mutabilis). Il nome lo deve proprio a una delle sue caratteristiche principali, l’abilità di fare la muta in pochi secondi. Il motivo è semplice, con il nuovo “vestito” caratterizzato da piccoli spuntoni può mimetizzarsi più facilmente e sfuggire ai predatori.
Ragno nascondino
Lo Jotus Remus non era una specie nota agli scienziati prima del 2016. È minuscolo e saltellante: a prima vista non sembra avere nulla di particolare, ma tra le sue peculiarità c’è quella del terzo paio di zampe che sono dotate di una sorta di pagaia a forma di cuore. A cosa serve? Per attirare le femmine, questo ragno è costretto a nascondersi sotto a una foglia, spostandosi proprio con le sue “pagaie”, anche per diverse ore prima che ci si accorga finalmente di lui.
Lumaca di mare
La Phyllodesmium poindimiei conosciuta anche come Spun Of Light, può essere considerata una specie di lumaca di mare presente nei mari della barriera corallina e in quelli che circondano l’isola di Okinawa. Questo mollusco è piccolissimo, non supera i 25 mm e ha un corpo conico con tanti piccoli tentacoli laterali che si illuminano in caso di pericolo rilasciando tossine.
Tartaruga fosforescente
Nessuna mutazione, ma una spiegazione scientifica ben precisa. La tartaruga fosforescente, individuata per la prima volta nel 2016 nel Pacifico meridionale, è una testuggine sorprendente. Si tratta del primo rettile bio-fluorescente che sia mai stato scoperto al mondo. Il verde e il rosso sono i due colori che riesce a irradiare: la sua particolarità è quella di assorbire la luce, trasformarla ed emetterla con altre tonalità. In seguito si è scoperto come questa tartaruga viva anche nell’Oceano Indiano.
Vespa parassita
Il pungiglione gigantesco è l’arma che contraddistingue la vespa parassita (il suo nome scientifico è Calistoga crassicaudata), tipica della Foresta Amazzonica. Nonostante una lunghezza non proprio eccezionale, circa 8 millimetri, il pungiglione stesso è pari a circa la metà del corpo. Grazie alla sua efficacissima puntura, riesce a immobilizzare le prede e a depositarci all’interno le proprie uova. Fortunatamente questi insetti non sono in grado di penetrare nella pelle umana.
Tardigrado
La prima descrizione storica del tardigrado risale a parecchio tempo fa, per la precisione al 1773. La denominazione così particolare si deve al naturalista tedesco Johann Goeze dopo aver notato come avanzassero con estrema lentezza. È un invertebrato che stupisce per la sua straordinaria capacità di sopravvivenza, visto che può resistere alle condizioni ed habitat più estremi. Proprio di recente ne è stata scoperta una specie nuova di zecca con zampe ancora più robuste.
Scarafaggio viaggiatore
Un’altra creatura minuscola e un’altra scoperta di pochi anni fa (2014). Lo scarafaggio viaggiatore (Nymphister Kronaueri) misura appena 1,5 millimetri e si comporta in maniera singolare, soprattutto perché la sua esistenza dipende da un’altra specie, una formica messicana. Quest’ultima è abituata a effettuare parecchi spostamenti nel giro di pochi giorni e lo scarafaggio si fa letteralmente trasportare camuffandosi alla perfezione grazie al colore del dorso in
Nel libro della Genesi si racconta che Adamo ebbe il compito di assegnare i nomi agli animali (Gn 2:18-20) cosicché «nel modo in cui Adamo chiamò ogni animale, quello fu il suo nome». L’episodio si riferisce chiaramente alla questione filosofica dell’origine del linguaggio, ma nessuno si è chiesto: per quale motivo l’imposizione dei nomi riguardò gli animali, cioè gli esseri viventi, piuttosto che gli oggetti inanimati? Se interpretiamo il testo biblico in modo letterale, siamo indotti a pensare che l’uomo primitivo cominciò a parlare imitando il verso degli animali per affinità, essendo lui stesso un animale, ma con la capacità peculiare dell’imitazione.
Questa è l’interpretazione più banale, poi bisogna capire anche il significato allegorico. Come si sa, la Genesi contiene due diversi racconti della creazione, per altro in contraddizione fra loro, che sono solitamente considerati come il maldestro assemblaggio di fonti diverse secondo la cosiddetta “ipotesi documentale”. Questa è una teoria recente che ha la pretesa di valere come scientifica, ma se ci si pone dal punto di vista tradizionale, ciò che appare distorto dalla mentalità moderna, risulta invece perfettamente logico e coerente.
Secondo la Genesi: «Dio creò l’uomo a sua immagine». Ma Dio ha anche un’altra immagine speculare che è costituita dal mondo, poiché come recita l’Asclepio: cuius sunt imagines duae mundus et homo. Ora, poiché l’uomo e il mondo sono entrambe immagini di Dio, secondo diverse prospettive, essi si rispecchiano fra loro, essendo il mondo come un grande uomo e l’uomo come un piccolo mondo. Perciò l’uomo è detto anche microcosmo, cioè “piccolo mondo”, poiché le sue parti corrispondono a quelle del macrocosmo, cioè il “grande mondo”. Ebbene, se si tiene conto che anche la Genesi rispetta questa distinzione tradizionale, si vede chiaramente che i due racconti della creazione corrispondono rispettivamente al macrocosmo e al microcosmo. Infatti, il primo racconto si riferisce propriamente alla creazione del cosmo, mentre il secondo si occupa in modo specifico della creazione dell’uomo. Di conseguenza, tutto ciò che fa parte del secondo racconto della creazione, deve essere interpretato allegoricamente come riferito al microcosmo, cioè all’uomo. Per esempio gli animali rappresentano gli istinti e le sensazioni dell’anima umana. Invece, tutto ciò che fa parte del primo racconto della creazione, deve essere interpretato allegoricamente come riferito al macrocosmo, cioè alle leggi cosmologiche d’ordine generale.
Gli animali nel microcosmo
Secondo una certa tradizione gli animali devono essere interpretati, allegoricamente, come una rappresentazione degli istinti, delle pulsioni, dei desideri, delle sensazioni e dei sentimenti. Si chiamano dunque “animali” in quanto dotati di anima ovvero in quanto rappresentazioni dei moti dell’anima e dei tipi psicologici.
In generale l’uomo, come apice della creazione, riassume in sé tutte le facoltà dei gradi di esistenza inferiori, per cui l’anima umana risulta composta da tre diversi tipi di anime: l’anima vegetativa, tipica delle piante; l’anima sensibile, tipica degli animali; l’anima intellettiva, che è propria dell’uomo. San Tommaso d’Aquino le chiama rispettivamente: anima vegetabilis, anima sensibilis, anima rationalis. Questa tripartizione dell’anima è una sistemazione effettuata dalla Scolastica sulla base delle considerazioni espresse da Aristotele nel De anima: le piante hanno solamente la funzione nutritiva (θρεπτικόν) e generativa (γεννητικὸν); gli animali hanno anche gli appetiti (ὀρεκτικόν), la sensibilità (αἰσθητικόν) e la locomozione (κινητικὸν); l’uomo ha in aggiunta a tutte queste funzioni anche la facoltà intellettiva (διανοητικόν).
Sulla base di questa corrispondenza simbolica ed allegorica, le piante e gli animali rappresentano rispettivamente, nella Genesi, le funzioni dell’anima vegetativa e dell’anima sensibile, che è detta tale in quanto soggetta ai sensi. Filone di Alessandria lo dice chiaramente paragonando i sensi ad un branco di animali: «la natura ha fatto nascere insieme a ciascuno di noi una mandria e, in effetti, l’anima fa spuntare come da un’unica radice due germogli, di cui uno, lasciato assolutamente indiviso, è detto intelletto, mentre l’altro, diviso sei volte, consta di sette parti: i cinque sensi e i due organi della fonazione e della generazione. Ora, tutto questo gruppo, essendo privo di ragione, è stato paragonato a delle mandrie e pertanto, secondo una legge di natura, esso ha necessariamente bisogno di una guida proprio in quanto è una massa». L’intelletto ha il compito di governare i sensi e gli istinti come un pastore la sua mandria, altrimenti essi prendono il sopravvento e si disperdono: «in un modo del tutto analogo si comporta la mandria dei sensi, la quale, subito approfittando dell’indolenza e della trascuratezza dell’intelletto, riempitasi a dismisura di un eccesso di sensazioni, scuote il giogo e va allo sbando dovunque le capiti».
In definitiva, gli animali rappresentano nell’uomo gli istinti e le emozioni, perciò il racconto biblico dell’imposizione dei nomi agli animali, da parte di Adamo, deve essere inteso come denominazione ma anche come dominazione. L’uomo denomina gli animali in quanto loro padrone, ovvero distingue in sé le proprie emozioni per dominarle con la ragione. Dal punto di vista linguistico, ciò significa che l’uomo incominciò a parlare mediante le interiezioni, per esprimere le proprie emozioni che egli distingueva in analogia con i caratteri irrazionali dei diversi animali: indolente, aggressivo, subdolo, timido, etc. La tradizione cristiana medievale, interpretando moralmente l’allegoria, considera i versi degli animali come espressione delle diverse attitudini ed in particolare delle tendenze animalesche verso il vizio e il peccato: «l’avaro ulula come un lupo […] il lussurioso nitrisce come un cavallo […] il superbo ruggisce come un leone».
Gli animali nel macrocosmo
Gli stessi animali che nell’essere umano rappresentano gli istinti o le sensazioni, dal punto di vista cosmologico rappresentano i cicli cosmici ovvero le diverse fasi della manifestazione cosmica. Per rendersene conto basti considerare che tale concezione equivale chiaramente alla definizione dello zodiaco, in greco ζῳδιακός, cioè il grande circolo cosmico percorso dal sole durante l’anno, attraversando le dodici costellazioni poste sul piano dell’eclittica, associate alle dodici figure, per lo più di animali, che rappresentano le diverse fasi dell’anno solare: per esempio l’impetuosità dell’Ariete all’inizio di primavera, l’ardore del Leone nel pieno dell’estate, l’ambiguità del Capricorno nel punto di inversione del movimento del sole, ecc. In definitiva, ciò che nell’uomo sono gli istinti, i temperamenti o le tipologie caratteriali, rappresentati allegoricamente come animali, nel macrocosmo corrisponde alle tendenze naturali, alle stagioni, alle diverse fasi o forme dei cicli cosmici.
Pertanto, considerando nel libro della Genesi il primo racconto della creazione, possiamo notare che i diversi animali sono caratterizzati da specifici movimenti la cui forma rappresenta un particolare tipo di ciclo cosmico: i grandi cetacei che si muovono con moto oscillante sul piano verticale, per metà in emersione e per metà in immersione, rappresentano i grandi cicli cosmici di manifestazione e occultamento; i rettili che si muovono oscillando a destra e sinistra sul piano orizzontale, rappresentano i cicli armonici che alternano tendenze opposte, gli uccelli che muovono le ali in sincronia rappresentano i cicli evolutivi, i mammiferi che camminano con moto sospeso compiendo con gli arti delle traiettorie epicicloidali, rappresentano i cicli biologici e storici che sono soggetti a nascita, crescita, culmine, declino ed estinzione.
Origine del linguaggio
Dal punto di vista linguistico, il passo della Genesi in cui l’uomo denomina gli animali può essere interpretato in tre diversi modi:
L’uomo inventa i nomi per imitazione dei versi degli animali, perciò il linguaggio umano ha una origine onomatopeutica.
L’uomo attribuisce i nomi ai suoi istinti o sentimenti rappresentati allegoricamente sotto forma di animali, perciò il linguaggio deriva dalle cosiddette “interiezioni”.
L’uomo attribuisce i nomi agli archetipi cosmologici che sono alla base della manifestazione universale, perciò il linguaggio umano è la trasposizione del Logos divino che è il principio d’ordine dell’universo.
Ebbene, le prime due interpretazioni corrispondono effettivamente a teorie linguistiche proposte in particolare nel periodo dal XVIII sec. fino al XIX sec. Queste teorie sull’origine del linguaggio umano si focalizzarono sui fenomeni linguistici, di tipo imitativo, in cui la forma fonetica ha un legame diretto e naturale con il significato da essa indicato: le onomatopee e le interiezioni.
Tuttavia il celebre filologo Max Müller, le considerò come fenomeni linguistici marginali e li indicò ironicamente con dei termini infantili: «Per risolvere questo problema sono sorte due teorie che per brevità io chiamo teoria del bow-wow e teoria del pooh-pooh. Stando alla prima, le radici sono imitazioni dei suoni; in base alla seconda, sono delle interiezioni involontarie».
L’idea che il linguaggio si sia formato a partire dalle onomatopee non traspare negli autori antichi se non in forma velata. Secondo Erodoto, il faraone Psammetico I fece un crudele esperimento per stabilire quale fosse la lingua originaria dell’umanità, ovvero la lingua parlata dall’uomo per natura senza condizionamenti culturali. Allo scopo incaricò un pastore di allevare due neonati in mezzo al suo gregge, senza che nessuno potesse comunicare con loro. Dopo due anni il pastore riferì che la prima parola pronunciata dai bambini fu βεκός che in lingua frigia significa “pane”, perciò ne dedusse che i Frigi fossero più antichi degli Egiziani. Ora è altamente improbabile che gli Egiziani, così gelosi della loro millenaria antichità, abbiano ammesso che i Frigi fossero più antichi di loro, perciò si tratta di una di quelle tante “stupidaggini” che secondo lo stesso Erodoto i Greci raccontavano su Psammetico (Ἕλληνες δὲ λέγουσι ἄλλα τε μάταια πολλὰ). Il tono scherzoso della storiella si intuisce dal fatto che la prima parola pronunciata dai due bambini fosse βεκός, cioè chiaramente una imitazione del verso delle pecore o capre in mezzo alle quali erano vissuti, cioè behe, behek, da cui il nome del maschio della capra: Bock in tedesco, becco in italiano.
Nel 1730 Giambattista Vico ipotizzava che il linguaggio primitivo si fosse formato inizialmente a partire dalle onomatopee: «nello stesso tempo, che si formò il carattere di Giove, che fu il primo di tutti i pensieri umani gentileschi, incominciò parimente a formarsi la lingua articolata, con l’onomatopea, con la quale tuttavia osserviamo spiegarsi in gran parte i fanciulli: ed esso Giove fu da’ Latini detto dal fragor del tuono dapprima Jous; dal fischio del fulmine da’ Greci fu detto Ζεύς» .
Max Müller, invece, ridimensiona drasticamente il ruolo svolto dalle onomatopee: «La nostra obiezione è che, sebbene in ogni lingua vi siano dei nomi formati per mera imitazione dei suoni, tuttavia questi rappresentano una molto limitata porzione del nostro dizionario. Essi sono i giocattoli, non gli strumenti del linguaggio, e ogni tentativo di ridurre le parole più comuni ed utili alle radici imitative è destinato a fallire».
Anche Ferdinand de Saussure osserva: «Ci si potrebbe basare sulle onomatopee per dire che la scelta del significante non è sempre arbitraria. Ma esse non sono mai elementi organici di un sistema linguistico. Il loro numero è d’altra parte assai meno grande di quanto si creda […] non soltanto sono poco numerose, ma la loro scelta è già in qualche misura arbitraria, poiché non sono altro che l’imitazione approssimativa e già a metà convenzionale di certi rumori».
Come secondo meccanismo di formazione delle parole, dopo le onomatopee, Vico aveva preso in considerazione le interiezioni: «Seguitaron’ a formarsi le voci umane con l’interjezioni, che sono voci articolate dall’empito di violenti passioni, che ‘n tutte le lingue son monosillabiche. Onde non è fuori del verisimile, che da’ primi fulmini incominciata a destarsi negli huomini la maraviglia, nascesse la prima Interjezione da quella di Giove, formata con la voce pa, che poi restò raddoppiata pape; onde poi nacque a Giove il titolo di Padre degli huomini, e degli Dei».
Al che ribatte sempre Max Müller: «La nostra obiezione a questa teoria è la stessa che per la precedente. Non ci sono dubbi che in ogni lingua vi siano delle interiezioni, e che alcune di esse siano diventate tradizionali, e che siano entrate nella composizione delle parole. Ma queste interiezioni sono soltanto marginali rispetto al vero linguaggio. Il linguaggio comincia laddove finiscono le interiezioni».
Aggiunge Saussure: «Le esclamazioni, molto vicine alle onomatopee, danno luogo a osservazioni analoghe e sono altresì poco preoccupanti per la nostra tesi. Si è tentati di vedervi delle espressioni spontanee della realtà, dettate, per dir così, dalla natura. Ma per la maggior parte di esse si può negare che vi sia un legame necessario tra il significante e il significato. Basta confrontare a questo riguardo due lingue per vedere quanto tali espressioni variino da una lingua all’altra».
La teoria fonosemantica
Per lungo tempo, sia i sostenitori che i detrattori dell’ipotesi naturalista, hanno discusso unicamente sul caso specifico delle onomatopee e delle interiezioni, trascurando l’ipotesi di un criterio imitativo generale. Infine fu evidente che le onomatopee e le interiezioni non hanno i requisiti sufficienti per candidarsi come criterio universale di formazione delle parole, poiché hanno un ambito di applicazione molto limitato, differiscono sensibilmente da una lingua all’altra e hanno comunque un certo grado di arbitrarietà. Così, agli inizi del XX sec. la linguistica moderna pose termine alla disputa accettando il postulato di Ferdinand De Saussure: «il legame che unisce il significante al significato è arbitrario» .
Tuttavia se guardiamo a Platone, che per primo pose la questione, e a tutti gli autori che se ne sono occupati in forma esplicita, possiamo renderci conto che nessuno di essi ha mai preso nella minima considerazione né le onomatopee né le interiezioni. Secondo quanto scritto da Marin Mersenne, John Wallis, Gottfried Wilhelm von Leibniz, Charles de Brosses, etc. il valore fonosimbolico dei suoni vocali verte piuttosto su concetti di tipo geometrico e cinematico, quali ad esempio la grandezza, la lunghezza, il movimento, la stasi, la sottigliezza, la levigatezza, l’interiorità, la rotondità, etc. Studi ancor più recenti, per esempio di Köhler, Jakobson, Ohala, etc. hanno ribadito la connessione del fonosimbolismo con la geometria. Dalla concordanza dei vari autori possiamo desumere un principio generale per la fonosemantica: la correlazione fonosimbolica, tra il significante ed il significato, si basa sull’analogia di forma, descritta in termini geometrici, tra la rappresentazione esterna (voce) e la rappresentazione interna (idea).
Questo principio ci riporta al terzo modo di interpretare il mito linguistico della Genesi: Adamo assegna i nomi agli animali, cioè ai principi che governano il mondo, sulla base dell’analogia geometrica. Infatti, in ebraico egli chiama i grandi cetacei con il nome taninnim che deriva da nun, la vibrazione nasale che già presso gli egizi indicava il grande oceano cosmico, rappresentato come un serpente avvolto su se stesso che ispirò, nell’Egitto del periodo ellenistico, la figura alchemica dell’οὐροβόρος. Chiama invece il movimento dei rettili con il nome sherets dalla radice SH+R che secondo Fabre d’Olivet è «composta dai segni del movimento relativo e proprio, cioè circolare e rettilineo». Di conseguenza essa esprime l’idea di un movimento sinusoidale o elicoidale, cioè la risultante della composizione dei due moti circolare e rettilineo. Chiama gli uccelli con l’espressione chof ichofet, che si potrebbe tradurre approssimativamente come “i volatili che volano” ma l’ebraico usa con la combinazione dei suoni CH e F per indicare rispettivamente compressione ed espansione. Infine i mammiferi sono chiamati behemoth dalla radice B+H+M che indica, al contrario, una sequenza di espansione e contrazione. Tutti questi movimenti tipici delle diverse categorie di animali, denominati in modo fonosimbolico, rappresentano le diverse modalità di manifestazione sotto forma di cicli cosmici. Questo simbolismo, di tipo universale, si può ritrovare nelle diverse tradizioni, cosicché ad esempio i mammiferi a quattro zampe, così come i behemoth della Genesi, rappresentano la cicliclità epicicloidale anche nella tradizione indù in cui la legge (dharma) è rappresentata come un toro che si appoggia inizialmente su quattro zampe perdendo l’appoggio di una zampa ad ogni sottociclo, oppure nella tradizione dell’antico Egitto, in cui la costellazione del Carro maggiore era chiamata meskhetiu ed era rappresentata come la coscia di un toro con una sola gamba, come ad esempio nella tomba di Senmut e nel tempio di Dendera.
Sì è concluso stamane nella sala conferenze della vecchia fornace di Cantalupo nel Sannio, l’incontro scientifico organizzato dall’Ordine deiMedici Veterinari di Campobasso, nell’ambito del cartellone della Festa del Pastore di Roccamandolfi.
Si parlato della Politica Agricola Comune, la Classyfarm ed il livello d’incidenza delle infezioni del mondo animale all’uomo. Argomenti sviscerati dal professore, Vincenzo Caporale, medico veterinario ed ex direttore dell’IstitutoZooprofilattico Sperimentale di Abruzzo e Molise.
Se è vero che sia importantissima l’azione di monitoraggio degli operatori sanitari delle Asl su tutta la filiera (produttore – consumatore), d’altro canto è essenziale la corretta gestione degli allevatori nella conduzione delle aziende zootecniche.
Un cane non vede solamente in bianco e nero1: si tratta di un mito, nato chissà perché, ma che non corrisponde alla realtà. Molti studiosi hanno sottolineato come, sebbene i cani non vedano tutto lo spettro di colori come gli esseri umani, non guardano il mondo come se fosse un film vintage.
I cani vedono i colori in modo diverso rispetto alla nostra percezione cromatica. La vista dei cani è molto buona alla luce, ma anche al buio le caratteristiche dei loro occhi gli permettono di avere una buona visione notturna.
Potremmo dire che i cani sono daltonici, ma in modo diverso rispetto a quello che caratterizza questa anomalia quando riguarda un essere umano.
Una persona daltonica ha difficoltà a distinguere i colori rossi dai verdi, oppure percepire le sfumature del blu. Questo è il vero e proprio daltonismo2, che ha origini genetiche o può anche essere causato da un trauma dell’occhio o altre condizioni.
Esseri umani e cani hanno due tipi di cellule che funzionano come recettori del colore: coni e bastoncelli. Tuttavia, gli uomini hanno tre tipi di coni, che li rendono in grado di rilevare l’intero spettro della luce, mentre i cani ne hanno solamente due. Ecco perché i cani non vedono tutti i colori come noi.
Se ti stai ancora chiedendo se i cani vedono a colori, devi sapere che i due coni di rilevamento del colore di cui abbiamo parlato aiutano a percepire la luce blu e gialla, ma non quella rossa e verde. Quindi, se fossi un cane, probabilmente vedresti il mondo attraverso sfumature di giallo, marrone, grigio e blu3. Detto questo, i cani vedono i colori, tuttavia, sembreranno solamente un po’ diversi da come li vediamo noi.
Ad esempio, se mostri un giocattolo di colore rosso al tuo cane, il tuo fedele amico a quattro zampe vedrà solamente un grosso oggetto marrone. Ecco perché come vedono colori i cani, ricorda molto le persone che hanno carenze nella visione del rosso e del verde.
Una dieta corretta4 con il giusto apporto di nutrienti è essenziale per mantenere il cane in uno stato di salute ottimale, in modo che possa prevenire il malfunzionamento di sistemi corporei e organi come ad esempio il fegato. Questa ghiandola è fondamentale per il mantenimento di diverse funzioni corporee e protegge perciò il cane anche da eventuali problematiche oculari.
Leber-Vital è un integratore specifico per il fegato che aiuta a corroborare le funzioni epatiche, migliora l’energia e svolge anche un’azione disintossicante, per mantenere il tuo fedele amico al massimo della forma
Anche l’olio di fegato di chimera è una soluzione importante per poter garantire che il tuo animale domestico possa continuare a vivere la sua vita in salute e avere un pelo lucente, sinonimo di energia e vitalità.
Vuoi far giocare il tuo cane con giocattoli?! Scegli quelli gialli o blu
Il tuo cane non ha bisogno di giocattoli nelle tonalità dell’arcobaleno perché semplicemente non è in grado di percepirle. Gli addestratori preferiscono utilizzare giocattoli e altri accessori per l’addestramento gialli e blu, che sono i colori che vedono i cani.
Mi chiamo Matea e sono una sostenitrice della salute olistica degli animali domestici. Amo la natura e gli animali sin da bambina e sono orgogliosa di prendermi cura dei nostri animali domestici. Tuttavia, il mio interesse per la salute olistica degli animali domestici è nato solo quando ho adottato la mia prima cagnolina che si chiamava Luna. Oggi, purtroppo, sempre più cani e gatti soffrono di diverse malattie. La mia Luna non faceva eccezione. Ha sofferto di malattie della pelle di natura allergica e di problemi di tosse canina Mi sono subito resa conto che la medicina veterinaria tradizionale non le forniva un aiuto sufficiente.
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