I gatti domestici sono un problema per gli animali selvatici: ne mangiano 2.000 specie diverse!

Una delle più grandi discussioni contemporanee relative agli animali domestici, e ai gatti in particolare, riguarda le loro abitudini alimentari: è da parecchi anni che si discute del loro impatto sulla fauna selvatica, perché un gatto lasciato libero di vagare può catturare una grande varietà di prede, che siano uccelli, rettili o piccoli mammiferi. Non tutti concordano sulla portata di questo fenomeno in termini puramente quantitativi (cioè quanti animali selvatici uccidano ogni anno, e quanto questo abbia un impatto sulle specie selvatiche), ma un nuovo studio pubblicato su Nature Communications ci dice qualcosa sulla varietà della loro dieta: in tutto il mondo, i gatti domestici si “pappano” più di 2.000 specie diverse, 347 delle quali sono peraltro già classificate a rischio estinzione.

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GATTI SCHIZZINOSI? NON SEMPRE… Lo studio è un’analisi effettuata a livello mondiale, e raccoglie tutti i dati che il team è riuscito a recuperare relativi alle prede dei gatti domestici – una definizione che include sia quelli strettamente di casa, che spesso vengono lasciati vagare liberamente per il vicinato, sia quelli randagi o selvatici. I dati utilizzati coprono oltre un secolo di analisi, partendo da vecchi studi pubblicati ai primi del Novecento fino ad arrivare ai censimenti odierni, e dimostrano inequivocabilmente che, quando si tratta di andare a caccia, i gatti non sono neanche lontanamente schizzinosi quanto sanno esserlo quando gli si dà una scatoletta. Considerando tutto il mondo, le loro prede potenziali appartengono a 2.084 specie diverse, tra le quali 981 di uccelli, 463 di rettili e 431 di mammiferi.

NESSUNO È AL SICURO. Ovviamente nel menu ci sono le specie che ci si aspetta: topi, ratti e altri micromammiferi, uccelli altrettanto piccoli, lucertole. Ma ci sono anche testimonianze di gatti randagi che mangiano testuggini, rospi, in Australia persino emu (presumibilmente già morti, vista la differenza di dimensioni). Secondo lo studio, il 9% di tutte le specie note di uccelli sono a rischio predazione da parte dei gatti, e più del 6% delle specie note di mammiferi. Senza contare che in molti casi è impossibile identificare la specie predata, che viene quindi classificata come “sconosciuta”: è molto probabile che 2.084 sia una stima conservativa, e che ci siano altre decine se non centinaia di specie che ancora non abbiamo identificato tra i resti dei pasti dei gatti. Insomma, nel dubbio forse è meglio tenere il gatto in casa, come già suggeriva uno studio dell’anno scorso.

fonte

Le 5 specie animali più brave a costruire il nido

La costruzione del nido è una vera e propria arte, in cui alcune specie animali sono particolarmente brave. Tra queste ci sono il coniglio, la rondine e il pesce combattente.

Osservata in varie specie animali, la costruzione del nido è un comportamento affascinante, con una solida base genetica, che riflette la capacità di manipolare l’ambiente a proprio vantaggio. È uno dei com­ponenti comportamentali specifici delle cure materne, assieme alla cura della prole, all’allattamento e alla som­ministrazione di cibo solido. Che si tratti di un uccello che crea intricati intrecci di ramoscelli e foglie o di una coniglia che elabora un sofisticato rifugio sotterraneo, la costruzione del nido è un’arte, spesso molto complessa, che può essere compiuta sia dalla madre che dal padre, o addirittura da entrambi. Esploriamo insieme le specie animali che eccellono in questa attività cruciale per la protezione della prole.

La coniglia

Nel coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) come in quello domestico, la costruzione del nido, fondamentale per la protezione e l’allattamento dei cuccioli, rappresenta l’essenza del comportamento materno. Questo processo segue una sequenza specifica di comportamenti, influenzata sia da stimoli esterni, come quelli visivi (la vista di un nido già completato, ad esempio), sia da fattori interni, come gli ormoni. Intorno al 25°-26° giorno di gestazione, si verificano aumenti nei livelli di β-estradiolo e progesterone, che inducono la coniglia a iniziare a scavare. Successivamente, con la diminuzione dei livelli di progesterone, la fase di scavo termina, e 1-3 giorni prima del parto si dedica al trasporto dei materiali idonei alla creazione del nido.

A ridosso del parto, poi, aumenta molto la prolattina, che spinge la madre a strapparsi il pelo per rivestire il nido. È interessante notare che la costruzione del nido migliori gradualmente fino al terzo parto, il che suggerisce che, oltre a un possibile controllo genetico, l’ambiente e l’esperienza giochino un ruolo significativo in questo comportamento.

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