I cani si ricordano di noi?

Guardando il nostro cane sarà capitato a tutti di domandarci se si ricorda di noi o semplicemente di un particolare avvenimento. In linea generale i quattro zampe sono in grado di tenere a mente episodi passati anche se ci sono dei meccanismi che rimangono ancora poco chiari. La cosa certa è che la memoria viene utilizzata dai cani anche nell’apprendimento e nell’esecuzione di determinate azioni, semplici o più complicate che siano.

Similitudini tra memoria del cane e degli uomini

Se abbiamo un cane, spesso possiamo notare come alcuni suoi comportamenti siano simili ai nostri, questo vale anche per la memoria. Come noi, i quattro zampe hanno una memoria a breve termine, che gli consente di acquisire le informazioni per un periodo di tempo limitato e quella a lungo termine che sostanzialmente dura per tutta la vita e va a formare i ricordi.

Come succede anche nel nostro caso, la capacità di memorizzare varia in base all’età e ai soggetti. Questo vuol dire non è un’attitudine da dare per scontata, ma deve essere allenata costantemente, ad esempio con giochi di attivazione mnemonica.

I cani e la memoria associativa

A prescindere dal carattere, i cani sono animali sensibili in cui le emozioni hanno un ruolo molto importante e proprio queste hanno un peso anche per quanto riguarda la memoria.

Quando un cane vive un momento di ansia o di rabbia, fa molta più fatica a ricordare, mentre quando è felice è capace di immagazzinare meglio le informazioni. Questo perché il peloso è mosso da una memoria associativa. Ad esempio non è raro che si ricordi di noi perché ci associa al gioco o al cibo. Il motivo è che lega il nostro odore a un’esperienza positiva. Lo stesso vale per le esperienze negative che vanno a creare nella sua mente un’associazione stabile.

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L’importanza dell’olfatto

Come abbiamo visto i ricordi nel cane si formano attraverso l’olfatto molto sviluppato. Il merito è tutto dei recettori presenti nel naso che possono arrivare fino a 300 milioni. Una caratteristica che gli consente di percepire gli odori molto meglio rispetto a noi, tanto che riconoscono il nostro non solo se siamo davanti a lui, ma perfino su un oggetto che abbiamo toccato. Una caratteristica unica se si pensa che i cani sono anche in grado di capire quanto tempo è passato dal nostro passaggio.

Questo significa che nel momento in cui incontriamo un peloso con cui vogliamo stabilire un legame per la prima volta, è meglio non mettere profumi o odori forti e persistenti perché potrebbero risultare eccessivi per il quatto zampe e disturbarlo.

Quanto tempo conservano la memoria di una persona?

I cani sono in grado di ricordare le persone, in particolar modo se trascorrono con loro molto tempo grazie alla memoria associativa e se c’è stata con loro un’interazione profonda.

La formazione di questo ricordo sarà indelebile nella memoria del cane, anche se non dovesse vedere la persona a lungo. Ovviamente per agevolarlo è possibile ricreare l’incontro a distanza di tempo nello stesso luogo in cui è avvenuto solitamente. Nel caso in cui un individuo e il cane abbiano avuto interazioni poco rilevanti, infine, la possibilità che il quattro zampe fatichi a ricordare sarà molto più alta.

Articolo originale su Today.it

Compagnia aerea distribuisce in volo cibo e snack per gli animali

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Anche i cani e gli animali che vanno in aereo con i loro padroni avranno il loro spuntino durante il volo. L’iniziativa è della compagnia aerea Vueling, la prima in Europa a prestare attenzione agli animali che viaggiano con i loro amici umani.

Cibo e snack per gli animali

La compagnia spagnola ammette in cabina animali domestici come cani di peso fino agli 8 Kg, gatti, uccelli (esclusi rapaci) e tartarughe, purchè collocati in un trasportino omologato. Il menù di bordo per gli animali prevede barrette di pollo e bocconcini di manzo, con prezzi che vanno dai 3,50 euro ai 5,50 euro. Snack sfiziosi per offrire agli amici a quattro zampe un’esperienza di viaggio ancora più piacevole.

«Abbiamo avuto molte richieste di poter portare in cabina il proprio animale domestico e abbiamo deciso di soddisfare le esigenze dei passeggeri» ha affermato un portavoce della compagnia.

Oltre al limite di peso, l’attuale politica della compagnia aerea prevede che gli animali siano muniti di tutti i documenti e i trattamenti idonei al viaggio, a seconda della destinazione. Anche il menu per i passeggeri ha avuto delle rivisitazioni per migliorarne la qualità con piatti più salutari a base vegetale o ipoallergenici, di produzione nazionale e con imballaggi privi di plastica per limitare gli sprechi.

Hanno 565 milioni di anni i fossili dei primi animali complessi

Risale a 565 milioni di anni fa uno dei momenti-chiave per l’evoluzione della vita sulla Terra, cioè il passaggio dagli organismi formati da una singola cellula a quelli più complessi, costituiti da più cellule.

Questa datazione così accurata è stata ottenuta per la prima volta analizzando alcuni dei fossili più antichi del pianeta provenienti dal Galles, nel Regno Unito. Il risultato, pubblicato sulla rivista della Società Geologica britannica e frutto della ricerca coordinata dall’australiana Curtin University, è stato reso possibile da antichi strati di cenere vulcanica, usati come ‘segnalibri’ della storia geologica.

“Abbiamo utilizzato le ceneri emesse da un antico vulcano che hanno ricoperto i fossili come indicatore del tempo, per datare con precisione i fossili a 565 milioni di anni fa”, osserva Anthony Clarke, che ha guidato lo studio. “Con altri fossili simili trovati in tutto il mondo, la datazione li identifica come parte di un’antica comunità vivente che si sviluppò quando la Terra uscì da un’era glaciale globale. Queste creature potrebbero somigliare in alcuni aspetti a specie marine attuali. come le meduse , ma per altri versi – aggiunge Clarke – sarebbero molto bizzarre: alcune sembrano felci, altre cavoli e altre ancora simili a penne di uccelli”.

“Questi fossili del Galles appartengono alla stessa tipologia dei famosi fossili di Ediacara, scoperti per la prima volta in Australia – afferma Chris Kirkland, uno degli autori dello studio – e mostrano alcune delle prime prove di organismi multicellulari su larga scala, segnando un momento di trasformazione nella storia biologica della Terra”. Nonostante sia stata ritenuta per lungo tempo esclusiva dell’Australia, infatti, l’ormai ben nota fauna di Ediacara, che comprende i primi antenati di tutti gli animali che oggi popolano il pianeta, è stata rinvenuta in tutti i continenti, ad eccezione dell’Antartide.

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Fotografare gli animali mentre sta nevicando

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Oggi è la Giornata mondiale della neve. I consigli per lo scatto perfetto quando si incontra u n animale: messa a fuoco, iso, esposizione spot

Ho già parlato della fotografia di animali in Fotografare gli animali, in montagna. Sicuramente per alcuni argomenti può essere utile dargli uno sguardo.
Il tema, però, merita un approfondimento riguardo alcuni aspetti, soprattutto quando si scatta sotto un’abbondante nevicata.

La scelta del tempo di scatto, per esempio, diventa assolutamente determinante, non solo per fermare il movimento del nostro animale, ma anche per scegliere come rendere l’estetica della neve, nella nostra immagine: più il tempo di posa è lungo e meno la neve sarà evidente; più la posa è veloce e più i fiocchi saranno individuabili. E’ importante anche riprodurre la neve con la giusta tonalità e prestare attenzione all’attrezzatura fotografica che non è esattamente “entusiasta” di cimentarsi con umidità e fiocchi di neve.

Mentre sta nevicando: messa a fuoco e tempo di posa 

Le immagini di creature viventi, uomini o animali, risultano efficaci quando l’occhio è nitido e ben visibile. E’, quindi, necessario mettere a fuoco sempre l’occhio del soggetto. Una buona metodologia consiste nel puntare il sensore di messa a fuoco sull’occhio più vicino, ricomporre l’inquadratura, tenendo premuto il pulsante di scatto a mezza corsa, e poi scattare. Il tutto richiede una certa velocità di esecuzione. Con un po’ di pratica non è poi così complicato. E’ anche possibile spostare, tramite gli appositi tasti della fotocamera, il cursore di messa a fuoco sull’occhio.

Alcune moderne mirrorless promettono di individuare l’occhio in automatico, anche in una concitata scena d’azione. Se nevica in maniera intensa, però, è molto probabile che la messa a fuoco sull’occhio non sia possibile, in nessun modo. I fiocchi di neve stessa ingannano il sensore di messa a fuoco e poi rendono, a prescindere, la fotografia meno nitida. In questo caso, l’interesse per la neve supera di gran lunga la regola del punto di messa a fuoco. E’ proprio la presenza della neve a rendere l’immagine suggestiva e interessante, sicuramente meno consueta.

Siamo meno abituati a guardare la foto di un camoscio, sotto una fitta nevicata. I fiocchi di neve sono meglio visibili se si stagliano su una superficie scura, come può essere quella degli abeti, di un edificio scuro o, come nel caso di alcune di queste foto, del pelo marrone di camosci e stambecchi. Utilizzando un tempo di posa veloce si “congelano” e divengono, quindi, più evidenti. Un tempo di posa troppo lungo, li renderebbe praticamente invisibili. Ovvio che la scelta del tempo di posa condiziona non solo la resa della neve, ma anche quella dell’animale stesso.

E gli iso?

Durante una perturbazione nevosa, in genere, la luce non è molta e utilizzando iso bassi, si rischia di ottenere tempi di posa troppo lunghi e, quindi, animali mossi. In genere, non mi stancherò mai di dirlo, è consigliabile scattare con la sensibilità iso più bassa possibile per ottenere immagini prive di rumore digitale, con un maggiore contrasto e una qualità generale superiore. Questo principio, però, risulta particolarmente importante nella fotografia di paesaggio, dove la qualità di immagine e la finezza dei dettagli è determinante.

Nel caso degli animali, soprattutto scattando in giornate di brutto tempo, o mentre sta nevicando, alzare gli iso diventa quasi indispensabile per evitare che il soggetto risulti mosso e per far sì che i fiocchi di neve risaltino nell’inquadratura. Un tempo di posa non sufficientemente breve, inoltre, causerebbe il mosso o il micro-mosso dovuto al tremolio della mano del fotografo. In alcune situazioni può essere utile aiutarsi con un monopiede, soprattutto usando pesanti teleobiettivi. A differenza del treppiede, più stabile, ma anche più lento e macchinoso da regolare, il monopiede è veloce da utilizzare e molto pratico per fotografare soggetti in movimento e quando è necessario spostare spesso l’attrezzatura, per cambiare punto di ripresa.

A volte, se non abbiamo il treppiede o il monopiede o non c’è tempo di estrarlo e regolarlo, è possibile aiutarsi cercando un appoggio di fortuna, come un tronco, un ramo o un masso. Spesso, un semplice appoggio, consente di evitare il mosso e di minimizzare il rischio del micro-mosso.

ISO ALTI? Non sono abituato ad alzare la sensibilità. Le mie immagini sono prevalentemente destinate alla stampa tipografica. Difficilmente scatto con iso sopra i 100. A volte, raramente, nella fotografia di animali alzo la sensibilità, a 400, 500, 640 iso. In questo caso, però, ho proprio esagerato, arrivando addirittura a 800 iso. Aveva quasi smesso di nevicare. La luce era poca, il sole stava per nascondersi dietro i contrafforti della Valnontey. Senza alzare gli iso ad almeno 800 iso, vista la poca luce, avrei ottenuto una foto mossa, anche per il movimento dei due camosci. Il diaframma è un f8. Non ho utilizzato la massima apertura di 5,6, per aumentare un po’ la profondità di campo della focale di 400 mm, visto che i soggetti sono su due piani diversi. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6.

Esposizione e misurazione spot

Trovandosi a fotografare un soggetto in mezzo alla neve, come per esempio uno stambecco, la differenza di luminosità tra il pelo scuro e il bianco dello sfondo potrebbe creare qualche problema di esposizione. Più il soggetto è piccolo e più è grande la massa bianca di neve nell’inquadratura, maggiori potrebbero essere i problemi. Lo stambecco potrebbe risultare troppo scuro e anche poco dettagliato. Se si aggiunge poi il fattore della neve che cade, la foto potrebbe essere decisamente inadeguata e poco nitida.

Per rendere leggibile il soggetto principale, meglio togliere il sistema esposimetrico a matrice e selezionare il sistema spot. La misurazione a matrice, suddivide l’immagine in varie zone, le misura tutte e calcola l’esposizione che ritiene corretta, facendo una media delle varie parti dell’inquadratura. Il sistema spot, invece, misura l’esposizione solo su una minima parte, dove si punta il sensore di misurazione, ignorando tutto il resto. Puntando, quindi, sul pelo dello stambecco, avremo una misurazione generalmente “corretta” sul soggetto, che risulterà essere ben leggibile e la neve circostante leggermente chiara, quasi sovraesposta.

In casi come questo, è opportuno accettare un compromesso, in quanto soggetto e sfondo hanno esposizioni molto diverse. Scattando in formato raw, comunque, sarà possibile intervenire efficacemente in post produzione, recuperando eventuali errori in sottoesposizione del soggetto (in genere sino a 2 stop) o in sovra esposizione dello sfondo (in genere sino a 1 stop). Tra l’altro i sistemi esposimetrici più moderni consentono risultati di buon livello anche con il sistema a matrice, soprattutto se abbinato all’utilizzo del formato raw, del file e ad una sapiente post produzione.

Un gheppio. I fiocchi erano molto piccoli. In questo caso è difficile renderli visibili, quasi impossibile. Le difficoltà dello scatto, quindi, sono dovute soprattutto a mancanza di luce. . Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. Iso 1000 (eh si addirittura); f 5,6; 1/200 di secondo. Appoggio di fortuna (tronco). La stabilizzazione dell’ottica è stata molto utile, in questo caso.
Un gheppio. I fiocchi erano molto piccoli. In questo caso è difficile renderli visibili, quasi impossibile. Le difficoltà dello scatto, quindi, sono dovute soprattutto a mancanza di luce. . Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. Iso 1000 (eh si addirittura); f 5,6; 1/200 di secondo. Appoggio di fortuna (tronco). La stabilizzazione dell’ottica è stata molto utile, in questo caso.
In genere si tende a non sfocare mai il primo piano. In questo caso, però, l’esigenza era duplice. Serviva un diaframma aperto, con un tempo di posa sufficientemente veloce per fermare il cervo e la poca profondità di campo contribuisce a dare l’idea dell’elusività del soggetto. Parco Paneveggio Pale di San Martino, nei pressi della ex Malga Colbricon. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6
In genere si tende a non sfocare mai il primo piano. In questo caso, però, l’esigenza era duplice. Serviva un diaframma aperto, con un tempo di posa sufficientemente veloce per fermare il cervo e la poca profondità di campo contribuisce a dare l’idea dell’elusività del soggetto. Parco Paneveggio Pale di San Martino, nei pressi della ex Malga Colbricon. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6

Neve e teleobiettivi zoom

Nella maggior parte delle situazioni, per fotografare gli animali alpini, si utilizzano i teleobiettivi, come già specificato in Fotografare gli animali, in montagna.

Nevicata molto intensa, salendo al rifugio Vittorio Emanuele, per la realizzazione di un libro di escursioni invernali. Sono parecchi i camosci che incontro lungo la salita. La maggior difficoltà, in questo caso, è stata proteggere l’ottica dalla neve, molto fitta. Un tempo di posa di 1/320, con una sensibilità ISO di 400 e un'apertura del diaframma a f/5,6 sono stati sufficienti per fermare la neve. Impossibile, o quasi, mettere a fuoco l’occhio del soggetto. In questo caso, però, ciò che conta è la neve e l’ambiente circostante, non solo il camoscio. 7) Nevicata molto intensa, sempre in Valsavarenche. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2;
Nevicata molto intensa, salendo al rifugio Vittorio Emanuele, per la realizzazione di un libro di escursioni invernali. Sono parecchi i camosci che incontro lungo la salita. La maggior difficoltà, in questo caso, è stata proteggere l’ottica dalla neve, molto fitta. Un tempo di posa di 1/320, con una sensibilità ISO di 400 e un’apertura del diaframma a f/5,6 sono stati sufficienti per fermare la neve. Impossibile, o quasi, mettere a fuoco l’occhio del soggetto. In questo caso, però, ciò che conta è la neve e l’ambiente circostante, non solo il camoscio.

Alcune ottiche tele, soprattutto focali zoom, possono avere qualche problema se utilizzati mentre sta nevicando. Utilizzando le focali lunghe degli zoom, può essere che una parte dell’obiettivo, allungandosi, si estrofletta, esponendo alcune parti interne dell’ottica ai fiocchi di neve. E’ necessario, quindi, prestare attenzione, soprattutto quando si torna alle focali corte e si accorcia, quindi, la lunghezza fisica dell’obiettivo.

E’ possibile che qualche fiocco di neve rimanga all’interno delle varie ghiere. La cosa migliore, in questi casi, è semplicemente asciugare queste parti, prima di riporre l’ottica nello zaino o nella borsa. Per approfondire le varie metodologie di protezione dell’attrezzature, guarda anche Fotografare con il brutto tempo.

Nevicata molto intensa, sempre in Valsavarenche. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. In questo scatto è evidente che la neve si veda maggiormente sulla superficie scura del camoscio. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. Iso 640; f 5,6; 1/250.
Nevicata molto intensa, sempre in Valsavarenche. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. In questo scatto è evidente che la neve si veda maggiormente sulla superficie scura del camoscio. Nikon D800; Nikkor 80-400 VR 2; 4,5/5,6. Iso 640; f 5,6; 1/250.
Volpe al riparo, mentre nevica. Si sa…è furba, mica si bagna. Nikon D300; Nikkor 80-400 VR 1.
Volpe al riparo, mentre nevica. Si sa…è furba, mica si bagna. Nikon D300; Nikkor 80-400 VR 1.

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Il gigantopiteco, la scimmia gigante, si estinse più di 200.000 anni fa

Il gigantopiteco, un enorme primate di 250 kg, si estinse tra i 295.000 e i 215.000 anni fa perché non seppe adattarsi ai cambiamenti del clima e dell’habitat.

Ci fu un tempo in cui la Cina meridionale era abitata da “King Kong”: erano i Gigantopithecus blacki, scimmioni alti tre metri e pesanti 250 chili. Questi giganteschi primati si estinsero molto prima dell’arrivo dell’uomo sulla Terra. Un nuovo studio pubblicato su Nature – che ha raccolto dati provenienti da 22 grotte sparse per la regione Guanxi − ha infatti dimostrato con maggiore precisione il periodo della loro scomparsa: non 100.000 anni fa – come uno studio del 2016 aveva ipotizzato-, bensì più di 200.000. Confermata, invece, la causa: gli scimmioni scomparvero perché probabilmente furono incapaci di adattare la propria dieta e il proprio stile di vita ai cambiamenti che avvennero nell’ambiente circostante.

FOSSILI DI GIGANTOPITHECUS. Per datare i campioni raccolti, gli studiosi hanno utilizzato diverse tecniche: la principale è la datazione a luminescenza, che ha stabilito quando i sedimenti che contenevano i fossili sono stati esposti alla luce l’ultima volta: «Datando direttamente i resti fossili abbiamo potuto confermare che la loro età corrispondeva con quella dei sedimenti nei quali sono stati ritrovati, cosa che ci ha permesso di produrre una cronologia affidabile dell’estinzione del G. blacki“, spiega Renaud Joannes-Boyau, esperto di geocronologia alla Southern Cross University (Australia).

MEGLIO GLI ORANGHI. Secondo quanto scoperto dagli studiosi, i gigantopitechi si estinsero tra i 295.000 e i 215.000 anni fa. Prima di allora, il G. blacki prosperava nelle foreste della zona, ma tra i 700.000 e i 600.000 anni fa l’ambiente iniziò a modificarsi in seguito a un cambiamento del clima e dell’alternanza stagionale. Mentre gli oranghi (nome scientifico Pongo) riuscirono ad adattare la propria dieta, le dimensioni, il comportamento e le preferenze di habitat all’ambiente circostante, i gigantopitechi passarono a una dieta meno nutritiva e meno varia, diventando più stanziali e soffrendo di stress cronico.

IL PERCHÉ DELLE ESTINZIONI. I ricercatori si sono concentrati soprattutto sullo studio dei fossili dei denti dei primati: «I denti ci danno una chiara visione del comportamento della specie, dei livelli di stress, la diversità del cibo di cui si nutriva, e i comportamenti che adottava», spiega Joannes-Boyau.

AmbienteCambiamenti climatici: le giraffe sono a rischio per le troppe piogge

Ricerche di questo tipo sono importanti per capire in che modo le specie si estinguono, visto che incombe su di noi la minaccia di una sesta estinzione di massa: «Capire i motivi dietro alle estinzioni passate ci permette di comprendere la resistenza dei primati e il destino di altri grandi animali, nel passato e nel futuro», conclude Kira Westaway, coautrice dello studio.

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